SIMONA MELANI, IL VERO LUSSO E’ ESSERE SE STESSI • Camera Nazionale della Moda Italiana

SIMONA MELANI, IL VERO LUSSO E’ ESSERE SE STESSI

SIMONA MELANI, IL VERO LUSSO E’ ESSERE SE STESSI

La comunicazione è sempre stata al centro degli interessi di Simona Melani che dalla politica ha scelto di passare alla moda, universi accomunati dall’interesse verso la società. Blogger dal 2004, nel 2009 ha fondato TheWardrobe, una vetrina che le ha aperto le porte di diverse collaborazioni: inviata alle settimane della moda per il retailer del lusso Giglio.com, poi per Corriere.it insieme ad una squadra di blogger, e infine di TIM; columnist per Swide.com by Dolce&Gabbana su cui racconta storie e curiosità della sua terra d’origine sotto la firma di Sicilian Girl; guest editor del sito di Uniqueness by Alessandra Facchinetti, ha anche trovato il tempo di scrivere un e-book e girare un programma televisivo. Ci parla di questi ultimi progetti e della sua passione per il web, una dimensione che le permette di realizzare il suo mantra: “il vero lusso è essere se stessi”.

 

 

I blog di moda spesso sono costruiti attorno agli outfit o alle foto di streetstyle, perché hai scelto di puntare invece sulla scrittura in un settore dominato dal linguaggio dell’immagine?

Penso che il blog sia la più bella espressione della propria personalità e delle proprie inclinazioni. Per questo motivo ne esistono di così diversi e per questa ragione ho scelto di aprirne uno in cui la scrittura fosse prevalente. Ovviamente le immagini nella moda sono fondamentali, il web è grande e c'è spazio per tutti. Così come i lettori dei blog sono  diversi e cercano cose diverse. Diciamo che quelli che apprezzano la scrittura sono una nicchia, ma puntare sulla nicchia è anche quello che fa l'alta moda no?

 

Da qualche tempo si sente sempre più spesso parlare di imminente declino del fenomeno dei fashion blogger, sei d’accordo? Quali orizzonti si prospettano secondo te per il fashion blogging?

Sicuramente c'è un declino della qualità, questo è innegabile. La qualità inevitabilmente si diluisce nella miriade di fashion blog che aprono i battenti ogni giorno. Spesso sgrammaticati o con foto di bassa qualità e di dubbio gusto, questi blogger non fanno un servizio né alla moda, né all'informazione, né – soprattutto – ai loro colleghi blogger. Se consideriamo però i top blogger, il livello di qualità dei loro contenuti – che siano foto o testi – aumenta con l'esperienza.

Rimarranno in pochi, ne sono certa. Solo chi si costruisce autorevolezza e riconoscibilità è una firma. Ad esempio, ci sono centinaia di stylist nel mondo della moda ma solo poche sono conosciute dal grande pubblico, poche danno un imprinting reale al loro lavoro. Idem chi lavora nelle redazioni, sognando di diventare una grande firma. Non tutti riescono. Molti spariscono. Molti sono improvvisati. E non è un fenomeno solo della moda, ovviamente. Quante “star” sono passate in tv e sparite nel giro di poco? 

 

Insieme a Demetra Dossi sei protagonista di un format televisivo intitolato “Fashion Sisters”, perché hai accettato di passare dal web al video? Cosa pensi lo renda interessante?

Insieme a Demetra stiamo cercando di sperimentare qualcosa di nuovo. Non è un reality, non è un programma televisivo con due “ protagoniste del web, non è una sit-com. Non è eppure è. Stiamo cercando di capire puntata dopo puntata come il linguaggio delle fashion blogger si trasformi passando da statico a dinamico e al contempo lo scardiniamo. Non trasmettiamo affatto un'immagine patinata, bensì scanzonata, senza però scadere nell'irriverenza fine a se stessa. Non siamo hacker del sistema moda, ma geek. Ovvero “smanettiamo” con il linguaggio che, per l'occasione, va su video. Finora le risposte sono state positive, ma è utile aspettare la fine della serie per tirare le somme.

 

“Aprendo il mio profilo Facebook non avrei mai pensato potesse diventare un lavoro”, è una tua frase, ce la spieghi?

Questa è la frase di apertura di “Social Media Fashion”, il mio ebook edito da 40k, nel quale racconto attraverso la mia esperienza quotidiana come la moda sia cambiata grazie ai new media.

I social non hanno dato solo alle aziende l'opportunità di aprirsi al pubblico ma anche alle persone di aprirsi al resto del mondo e a nuove opportunità. Molti giovani hanno trovato nei social uno sbocco lavorativo: secondo una ricerca di Deloitte del gennaio 2012 sono 35 mila gli italiani che lavorano grazie a Facebook. Un indotto di 35mila persone. Sono numeri notevoli in tempo di crisi.

 

 

Democratizzazione della moda, filo diretto tra stilisti e consumatori, news immediate: non credi che tutto ciò possa progressivamente far svanire il fascino e il sogno legato alla moda? Quali rischi si corrono?

Non credo che la democratizzazione del sogno della moda sia un pericolo in sé, così come il grande flusso di informazioni che investe le persone quotidianamente.  Però un rischio c'è ed è insito nella veemenza che spesso le persone utilizzano nel commentare o dire la loro, specialmente all'indirizzo dei personaggi pubblici. Alcuni la prendono con filosofia, altri giustamente si arrabbiano e si innescano circoli viziosi poco “eleganti”. Ma più che un rischio legato alla moda è solo una questione di educazione. Che se manca nella vita reale manca anche sui social.

Per tornare al punto, se più persone conoscono la moda italiana e la apprezzano il canale è solo un canale e nulla più. Non sono gli strumenti, sono come noi li utilizziamo. Se un grande marchio inizia a “parlare” come un giornale per adolescenti si snatura. Ma la colpa non è di Facebook, è di una mancanza di strategia nell'utilizzo dei new media.

 

Si dice spesso che l’Italia sia un paese per vecchi, sei d’accordo? Come vedi la giovane creatività italiana?

La creatività italiana è più viva che mai. Storicamente i periodi di crisi aguzzano l'ingegno e ispirano chi ha talento, che lotta ancora di più per emergere. Grazie al blog ho incontrato tanti di quei talenti che spesso faccio fatica a mettere in ordine appunti e ispirazioni che raccolgo. Se però consideriamo che in questo Paese a 40 anni sei ancora considerato un giovane emergente, la strada da fare è ancora tanta. Ma è una questione di cultura. Di cultura dei padri. Che deve assolutamente essere diversa quando ad essere padri e madri saremo noi trentenni.

Andrea Vigneri