Intervista a Lavinia Biagiotti Cigna - Illustrazione di Anna Higgie • Camera Nazionale della Moda Italiana

Intervista a Lavinia Biagiotti Cigna - Illustrazione di Anna Higgie

Intervista a Lavinia Biagiotti Cigna - Illustrazione di Anna Higgie

Consigliere della Camera Nazionale della Moda Italiana e vice presidente del gruppo di famiglia, LaviniaBiagiotti Cigna, 35 anni, ha affiancato la madre Laura già da giovanissima. Modello di business woman a tutto tondo, conduce un programma radiofonico di successo e dispensa consigli di eleganza che ha raccolto nel bestseller “Pronto e indossato. Ricette di stile per tutte le occasioni”

Il capo irrinunciabile nel guardaroba ideale di una donna.

Il pullover di cashmere, passpartout assoluto attraverso le stagioni, le tendenze e i cambiamenti del corpo.

Nel 1988 sua madre è stata la prima stilista italiana a sfilare in Cina. Quali sono oggi le strategie per comunicare il Made in Italy in una geografia sempre più internazionale e competitiva?

La sfilata che mia madre ha realizzato a Pechino nel 1988 è stata un evento straordinario, di enorme portata culturale e mediatica. L’aspetto commerciale in quel momento era quasi inconsistente, mentre ha avuto una valenza storica la creazione di un ponte tra Oriente e Occidente. L’abito è come un “esperanto”, un linguaggio universale fatto di immagini che superano le barriere. E la moda italiana è entrata, con eleganza, discrezione e curiosità, in luoghi sino ad allora chiusi come la Città Proibita e Piazza Tien An Men. Sta cambiando tutto a una velocità vertiginosa: le nuove tecnologie, le tecniche di informazione, un modo sempre diverso di vedere e di affrontare le cose hanno mutato radicalmente la nostra vita. Costumi che sembravano, se non eterni, almeno destinati a durare, sono stati spazzati via, travolti da valori e da realtà molte volte, addirittura, di segno opposto. A questa accelerazione non poteva sfuggire la moda, che ha nel suo DNA la vocazione al futuro. Ritengo che in un mondo di iperboli emerga il messaggio chiaro, ancorato ai talenti della nostra unicità. Identificare i temi portanti quali il legame con l’arte e la cultura, la trasmissione di una “filiera della bellezza”, la qualità autentica, lo stile di vita. Per vincere la sfida globale ed essere immediatamente riconosciuti, amati, desiderati. L’Italia è un brand aspirazionale che suscita emozioni. La bellezza italiana è artigianale, sintesi di ingegno e manualità.

Quando Laura Biagiotti ha ideato il celebre abito-bambola pensava alla fisicità di donne vere, lontane dal prototipo delle top model. È un messaggio che sente di condividere?

Considero un grande privilegio essere donne che lavorano per le donne! Sperimentiamo, innoviamo, ma non perdiamo mai di vista la simbiosi che necessariamente si crea tra il nostro corpo e ciò che indossiamo. Penso che l’abito debba essere considerato il primo alleato di una donna, un compagno con cui condividere la giornata, le ambizioni, le soddisfazioni e anche le preoccupazioni. Dunque non deve rappresentare un’ulteriore complicazione. Deve avvolgere, assecondare, incoraggiare. In questo senso detesto la parola fashion victim: la moda ci ama, non ci schiavizza.

Come giudica il fenomeno della fotografia street style?

La strada è la più grande passerella della contemporaneità. Tra strada e moda c’è un rapporto di osmosi e un confronto continuo, fatto di riflessi, influenze, rincorse. La strada assorbe, rielabora, consuma le proposte degli stilisti, che a loro volta ne assimilano, traducono e interpretano le suggestioni. Lo ritroviamo nelle scatenate flappers degli anni ’20: furono loro a ispirare Coco Chanel o viceversa? E poi Hippie, punk, grunge… Chi ha condizionato chi? Oggi si assiste a un fenomeno di interazione tra moda e strada ancora più profondo, legato al web e ai social media che hanno amplificato vizi e virtù di questa combinazione. Personaggi noti e persone comuni si scontrano a suon di “look” per ottenere l’ambito “post” sulla pagina che conta. E così mi diverto ad osservare, fuori dalle sfilate, VIP sobrissimi con gli occhiali e il paletot che vengono quasi ignorati, giovani bloggers di successo sommerse dai flash mentre sfidano pioggia e neve con mises estive e sandali cool, e aspiranti tali che mescolano all’impazzata pezzi fast fashion con la tunica della zia e la collana del mercatino. Il fenomeno mi interessa poiché contribuisce a diffondere la voglia di moda, ma va considerato con le dovute proporzioni, distinguendo professionisti, amatori e… dilettanti allo sbaraglio.

Cosa vorrebbe vedere nel futuro della moda, e della moda italiana?

Vorrei vedere una moda sempre più italiana!I colleghi francesi hanno issato la bandiera del “Faire France”, con un messaggio potente, compatto, vincente. L’Italia ha, nell’ultima decade, perso alcune opportunità, soprattutto nella valorizzazione dei giovani. Ma ha anche saputo reagire con un orgoglio nuovo, ristabilendo la leadership di uno straordinario sistema integrato tra creatività e industria, artigianato e tecnologia. Viviamo nell’era “on demand”, una sorta di evoluzione del “su misura” che faceva mia nonna Delia nel suo atelier, negli anni ’60. La moda italiana deve continuare a soddisfare il bisogno primario di bellezza, essere capace di inventare sempre nuove storie. Ciò che manca nel nostro Paese, soprattutto da parte della politica, è la visione della moda come asset portante: voce fondamentale dell’export, fonte di reddito di decine di migliaia di addetti, filiera composita, ambasciatrice del bello. È il nostro petrolio, insostituibile fonte di energia che si rinnova. Ogni sei mesi. Straordinariamente.